09 Settembre 2021

Contratto Sanità: se la fretta rischia di essere una cattiva consigliera

Di NS
Discussione aggiornata al 21 settembre, ma sono ancora troppe le incognite sulle risorse per l’ordinamento professionale, la mobilità, le progressioni o il lavoro agile

di Ulisse Spinnato Vega

Il ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, vuole chiudere entro fine anno e ne ha fatto un punto d’onore. Ma è ancora lungo il cammino verso il rinnovo del contratto della Sanità pubblica e la strada alquanto tortuosa. Il negoziato riguarda il personale non dirigenziale e sul piatto ci sono a regime 1.015,57 milioni di euro per il periodo 2019-2021, con decorrenza 2021, a beneficio di 545mila lavoratori. Il calcolo pro capite prevede un aumento medio mensile lordo di poco superiore a 90 euro.

Il 7 settembre si è tenuto all’Aran il secondo appuntamento, il primo dopo la pausa estiva, e la discussione si è quasi subito aggiornata al 21 settembre prossimo. L’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, infatti, ha presentato una prima bozza di testo che interviene in modo parziale solamente sui primi quattro titoli del contratto, escludendo i veri nodi, come l’ordinamento professionale, la mobilità, la formazione, le progressioni economiche, le regole per il lavoro agile. Naturalmente, Aran si confronta con le Regioni che sono il datore di lavoro nella sanità. E queste ultime non hanno ancora le idee molto chiare, soprattutto sulla riclassificazione del personale. Dunque, per ora è arrivata al tavolo soltanto una manutenzione della parte giuridica del vecchio contratto.  

Le organizzazioni sindacali, Nursind in testa, si interrogano in primis sui tempi della possibile chiusura dell’accordo, che non è certo facile e scontata. Se, infatti, Brunetta vorrebbe portare a casa almeno tre contratti su quattro entro l’anno (Funzioni centrali, Sanità, Scuola), è soprattutto la Triplice a fargli sponda con l’obiettivo di fare in fretta. Eppure le incognite e i problemi aperti non mancano: bisognerà innanzitutto aspettare la legge di Bilancio, in arrivo a ottobre ma approvata solo a fine anno, e vedere se e quante risorse saranno stanziate per la riforma dell’ordinamento professionale e la nuova classificazione del personale (con le nuove posizioni ad alta specializzazione e più elevati livelli di autonomia, la cosiddetta “quarta area”, e con un problema storico enorme come quello del cambio di categoria per gli operatori sociosanitari).

È difficile, infatti, fare un contratto senza conoscere quali saranno gli inquadramenti e come cambieranno le mansioni in futuro, anche in ragione del grosso dei fondi del Pnrr, in arrivo proprio l’anno prossimo, che muteranno il volto della sanità sul piano tecnologico e organizzativo, modificando certamente anche compiti e incombenze per il personale. Peraltro, chiudere subito l’accordo significherebbe non riservarsi gli strumenti per assorbire eventuali modifiche normative che potrebbero subentrare nel 2022. Allora, la soluzione più saggia e pragmatica pare quella di operare la dovuta manutenzione del contratto vecchio, rendere disponibili subito le risorse già stanziate per il rinnovo, erogare finalmente i 335 milioni destinati all’indennità di specificità infermieristica, che rimanda al comma 409 della legge 178/2020, ma al tempo stesso tenersi aperta una finestra, una coda contrattuale e demandare a un integrativo la disciplina degli altri istituti in discussione. Senza dimenticare che per legge è stato creato l’infermiere di comunità/famiglia, di cui vanno precisate qualifiche e mansioni: è la prima volta, infatti, che la norma definisce una figura specifica di infermiere. Ecco, dunque, da dove scaturisce la necessità di evitare frettolosi pastrocchi come successe nel 2018.

L’aria che tira si vedrà in concreto con il tavolo delle Funzioni centrali, il primo che dovrebbe chiudersi alla luce del ritmo a tamburo battente che Brunetta ha imposto alla trattativa. Per adesso, comunque, l’obiettivo è quello di perfezionare i rinnovi includendo il nuovo ordinamento professionale, senza spacchettamento alcuno. Ma è chiaro che la gatta frettolosa rischia di fare i gattini ciechi e di partorire un contratto che poi non funziona. Tra l’altro, ad aprile 2022 sono previste le elezioni Rsu: una scadenza non indifferente rispetto ai contenuti degli accordi e che in qualche modo determina oggi i posizionamenti dei confederali e dei sindacati di categoria.    

Certo, questo è il momento in cui bisogna ricordarsi di ciò che è accaduto nell’ultimo anno e mezzo di pandemia. Le premesse non sono delle migliori: poco tempo fa era stata conquistata dagli infermieri la maggiorazione sul festivo infrasettimanale per il personale turnista ed era arrivata persino una sentenza dalla Cassazione a suggellare l’estensione della validità dell’articolo contrattuale. Adesso la proposta sul tavolo prevede invece un inaccettabile passo indietro. Insomma, la fretta di chiudere la partita è tanta, ma ci si augura almeno che i cosiddetti “eroi” del Covid non siano un po’ meno eroi quando ci si siede al tavolo che conta per tirare le somme.