03 Maggio 2024

“Ostetriche calpestate. Eppure potremmo far risparmiare il Ssn”

Domenica è la giornata internazionale dedicata alla categoria. Fausta Pileri, componente della direzione nazionale Nursind: “Va valorizzata la nostra autonomia. Rispondiamo alla domanda di cure a tutto tondo della donna”

Di Ulisse Spinnato Vega

“La politica parla tanto della questione demografica e della lotta alla denatalità, ma intanto noi ostetriche come figure professionali preposte alla promozione della gravidanza fisiologica siamo calpestate: c’è un’involuzione che non vede riconosciuta e valorizzata la nostra autonomia. Eppure lo sa che siamo le uniche operatrici sanitarie non mediche che possono fare prescrizioni?”. Fausta Pileri, coordinatrice ostetrica presso l’Aou di Sassari e segretaria del Nursind Sassari, si approssima alla Giornata internazionale dell’Ostetrica, che si celebra domenica prossima, con il solito spirito battagliero, ma nondimeno con un sottile velo di sconforto nel tono della voce. E a Nursind Sanità spiega: “Potremmo erogare una risposta ancora migliore in termini di assistenza efficace ed appropriata ai bisogni della donna, in grado di generare risparmi per il sistema sanitario anche dal punto di vista economico”.

Sulla carta avete un grado di autonomia e responsabilità mai contestato da nessuno. Tuttavia, la figura dell’ostetrica sembra contare sempre meno in un Paese che fa sempre meno figli.
Come donne e come professioniste ci sentiamo un po’, diciamo così, schiacciate dagli eventi e soprattutto da una certa disinformazione. Eppure noi, anche grazie alla nostra formazione universitaria, ci prendiamo cura della donna dalla nascita fino alla senescenza e rispondiamo ad un bisogno di salute che non riguarda solo la gravidanza, il parto, il puerperio o l’allattamento ma anche la prevenzione e l’educazione sanitaria.

I numeri appaiono impietosi. Nel 2023, secondo Istat, in Italia sono nati appena 379mila bambini. Solo il 44% delle 581 strutture italiane con sale parto supera la soglia dei 500 parti naturali all’anno.
I punti nascita si stanno riducendo sempre più e vengono chiusi pure i consultori. L’altro problema è la medicalizzazione del parto. I tagli cesarei ancora superano spesso, in diverse regioni d’Italia, il 40% del totale dei parti, mentre secondo l’Oms dovrebbero essere il 15%.

Un problema, anche culturale, che viene da lontano.
Il monitoraggio e l’assistenza al travaglio e al parto dovrebbero essere adeguati al livello di rischio della gravidanza ed erogati con la minore invasività possibile. Negli ultimi 40-50 anni abbiamo purtroppo assistito al fenomeno inverso.

Si ripresenta insomma il solito problema dell’eccesso di accentramento delle responsabilità sui camici bianchi, mentre figure come gli infermieri o le ostetriche potrebbero vedere riconosciuta la propria autonomia professionale, distribuendo meglio la presa in carico dei pazienti e accelerando la risposta alla domanda di salute.
Esatto. Va valorizzata la nostra autonomia sia clinica che dal punto di vista salariale. Ce la riconoscono le direttive Ue e le norme di recepimento, sin dal 2005, come nel caso della prescrizione degli esami della gravidanza, ma di fatto si tratta di norme applicate a macchia di leopardo. Alcune regioni come il Veneto o il Piemonte sono virtuose, mentre altre si sono sentite rispondere dal ministero della Salute che dal punto di vista dell’applicazione delle norme solamente il medico può fare le prescrizioni.

Un passo indietro rispetto al passato.
Eppure il percorso nascita a basso rischio ostetrico (Bro, ndr) è stato delineato e affidato alle ostetriche dal ministero della Salute attraverso linee di indirizzo emanate sin dal 2010. Un tempo esisteva l’ostetrica condotta, che lavorava in pool con il medico di base. E dava alla donna risposte assistenziali coerenti con i bisogni espressi. È un tema importante, perché oggi le future madri hanno spesso difficoltà sin dall’accesso alle cure. E se manca una buona gestione del periodo della nascita o dell’allattamento, le evidenze scientifiche dimostrano che si rischiano ripercussioni sul bambino anche quando sarà adulto, dal punto di vista psicologico e sociale.

Oggi, sempre più spesso, gestite le dinamiche di coppia.
Una volta prendevamo in carico la diade madre-figlio, adesso si parla di triade, perché il padre è molto più partecipe nelle dinamiche della gravidanza e della nascita. Le ostetriche, insomma, rispondono al bisogno di salute di tutto il nucleo familiare che è il mattone fondamentale della nostra società: è l’Oms a dire che possiamo e dobbiamo farlo, in forza del nostro profilo e delle nostre competenze professionali.

Il tema della continuità ospedale-territorio è centrale. Perché la vostra figura è trascurata nella riforma dell’assistenza di prossimità voluta dal Pnrr?
Non so se ci sia un disegno politico, tuttavia grazie alla prevenzione, agli screening e alla continuità dell’assistenza in autonomia potremmo generare un risparmio persino in termini di costi per il Ssn. Nella realtà, in alcuni territori, magari ci sono delle buone risposte a livello amministrativo locale, ma non si coglie l’importanza di un disegno di riforma organico. E così la nostra formazione universitaria, compresa quella post laurea, resta poco valorizzata, la professione è sempre meno attrattiva e mancano inevitabilmente diverse migliaia di ostetriche all’appello.

 


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