Piano pandemico: senza risorse a rischio l'applicazione
Mazzella (M5s) a Nursind Sanità: "Ma anche senza medici e infermieri sarà destinato ad avere scarsa efficacia". Per il senatore, "può funzionare se le Regioni lo implementeranno in modo uniforme e non variabile, come di fatto avverrà". Il documento è ora atteso in Conferenza Regioni
Di Elisabetta Gramolini
Un documento nuovo che aggiorni le indicazioni del precedente, già scaduto a gennaio, per evitare gli errori del passato e affrontare le eventuali emergenze. Con questa premessa, il ministero della Salute si dice pronto a presentare il nuovo Piano pandemico per il vaglio della Conferenza delle Regioni. Nella nota diramata dal dicastero lo scorso 30 novembre, si informa che il lavoro è stato compiuto in collaborazione dal dipartimento di prevenzione di Lungotevere Ripa e dall’Istituto superiore di sanità, operando "ogni possibile valutazione e approfondimento nonché con sollecitudine al fine di arrivare ad approvare una versione che correggesse anche quei possibili errori messi in evidenza dalle esperienze passate". In più si specifica che il Piano sarà finanziato dalla legge di Bilancio in corso di approvazione per diventare "un utile strumento per la prevenzione delle infezioni respiratorie, oltreché un baluardo per la difesa dalle pandemie". Secondo il senatore Cinque stelle, Orfeo Mazzella, membro della X commissione permanente Affari Sociali del Senato, la bozza del Piano finora circolata almeno sulla carta contiene buoni elementi, ma - come ha spiegato a Nursind Sanità - senza risorse che aumentino gli organici nelle strutture sanitarie rischia di restare inapplicata.
Senatore, il nuovo Piano pandemico è stato annunciato a gennaio scorso, ma non è mai stato presentato. Ora sembrerebbe la volta buona.
Credo l’attesa sia dovuta al fatto che il precedente Piano era triennale mentre questo è quinquennale. In più, leggendo la bozza, si capisce che l’impostazione è diversa: finalmente è scritto chi fa cosa. Si tratta di un passo avanti rispetto al passato. Volendo fare un ragionamento più profondo, dobbiamo considerare che il Servizio sanitario nazionale (Ssn) è stato messo a dura prova dal Covid-19 che ha fatto rilevare la fragilità del sistema, specie nell’aspetto della pianificazione, a livello di alcune aree critiche, come rianimazione, anestesia, terapie intensive, e nell’integrazione sanitaria che sussiste quando il problema regionale di fatto è gestito a livello nazionale. La sfida per il Piano è essere realizzabile in tutte le Regioni dove sappiamo le risposte sanitarie sono diverse.
Tutto questo fa allungare i tempi di stesura?
Esatto. Nel Piano pandemico nazionale si parla di resilienza dei sistemi sanitari, ma abbiamo visto come nel Ssn servano figure specialistiche, medici e infermieri, specie in determinate aree. Se mancano, qualsiasi piano pandemico è destinato ad avere una scarsa applicazione. Può essere efficace sulla carta, ma poi è difficile che funzioni. È il motivo che ha generato tutta questa lentezza.
Senza risorse, come faranno le Regioni a realizzarlo?
Il Piano dovrà essere declinato a livello regionale. Da qui nasce la contrattazione fra il ministero con la Conferenza Stato Regioni. Sono colpito dallo sforzo del ministro che però non viene adeguatamente seguito dal governo per finanziare un Piano quinquennale. Così come l’ho definito, sarà un Piano "a implementazione regionale variabile". Credo che in questo momento, nonostante ci sia stato un rafforzamento di alcuni dipartimenti e rianimazioni, avremmo bisogno di più sanitari. Servirebbe un’unica cabina di regia nazionale che si attivi quando c’è una emergenza, così come è stato fatto durante il Conte II. La verità è che è fallita la regionalizzazione della sanità. La pandemia ha messo in luce la vulnerabilità delle Regioni di fronte a un virus che non ha barriere. Il Piano funziona se le Regioni lo implementano in modo uniforme e non variabile, come di fatto avverrà. Non so se avranno i fondi per fare ciò che il Piano prevede, per questo, la vedo dura.
Quali sono le innovazioni che secondo il ministero dovrebbero correggere “quei possibili errori messi in evidenza dalle esperienze passate”?
Il Piano in verità non corregge errori perché per farlo dovrebbe finanziare il Fondo sanitario. Se infatti non si agisce sulle piante organiche, ormai ridotte all’osso, non si riesce a risolvere le criticità messe in evidenza dalla pandemia. Va detto, però, che una cosa è stata fatta in questo Piano: l’estensione ad altri patogeni a trasmissione respiratoria a potenziale rischio pandemico. Questo amplia lo spettro di ricerca, almeno dal punto di vista diagnostico. Poi, almeno sulla carta, il Piano va a potenziare i dipartimenti di prevenzione che, ad oggi, sono sprovvisti di personale e strumenti nelle Asl. Tuttavia, vorrei comunque capire come avverrà questo rafforzamento. L’espressione usata è "ridefinizione degli standard organizzativi", ma come verranno ridefiniti e con quali risorse e figure non è chiaro. Sui laboratori diagnostici va fatto poi un discorso a parte: le Regioni hanno affidato quasi tutta l’attività ai centri privati, visto che nel Piano si parla di un ampliamento della rete dei laboratori sarebbe interessante capire a quale rete faccia riferimento.
La bozza parla di un ritorno dell’obbligo di mascherina in caso di emergenza. Ciò ha sollevato critiche da parte di chi ha osteggiato le misure di contenimento durante la pandemia.
Nel Piano le misure vengono giustificate in un capitolo a parte ed è precisato si debba fare una opportuna comunicazione. Inoltre si fa riferimento alla vaccinazione come strategia. Aggiungo però che il mio primo disegno di legge, appena entrato in Commissione, è stata proprio l’introduzione di misure come il lavaggio delle mani e l’uso delle mascherine in ospedali e Rsa, obbligatorie durante i picchi influenzali, ma la proposta non è mai stata calendarizzata.
Non c’è solo il Covid-19. Il Piano è pronto a fronteggiare per esempio malattie zoonotiche che riguardano allevamenti e in generale contesti diversi?
La bozza di Piano non parla di zoonosi. Proprio in questi giorni ho presentato un disegno di legge che riguarda la creazione di un Comitato interministeriale One health perché ritengo si debba fare un’azione di coordinamento.
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