Autismo: 600mila casi in Italia, ma c'è molto sommerso femminile
Secondo gli esperti Sip (Società italiana di psichiatria), il dato di 120mila donne colpite è molto sottostimato. Anche perché rispetto ai maschi hanno una maggiore capacità di adattameno al deficit di comunicazione sociale. L'anoressia nervosa come manifestazione in rosa di spettro autistico però è un'ipotesi che si fa strada

I disturbi dello spettro autistico, da sempre considerati ascrivibili soprattutto al sesso maschile, sono in realtà nel sesso femminile molto più frequenti di quanto si creda, ma non vengono riconosciuti a causa del diverso modo in cui i sintomi si declinano. In alcuni casi, lontano dal quadro classico che si studia sui manuali, basato sui profili tipici dei pazienti maschi. A porre il problema è la Società italiana di psichiatria (SIP) che, in occasione della Giornata Mondiale del 2 aprile, ha deciso di fare il punto sulla questione di genere.
Si stima che in Italia l’autismo interessi circa 600mila persone con una netta prevalenza nei maschi rispetto alle femmine con un rapporto di 4 a 1 (480/120mila). Anche nell’infanzia, tra i 7 e 9 anni, colpisce circa 31mila maschi e 8mila femmine. Un’analisi più attenta ci dice però che questi numeri andrebbero valutati con più attenzione, per il fatto che le donne hanno un diverso approccio alla malattia. “Nella donna – spiega la presidente SIP, Liliana Dell’Osso, già professore all’Università di Pisa e decenni di studi proprio sull’autismo nell’adulto – le capacità di adattamento al deficit di comunicazione sociale (si parla di ‘camouflaging’, camuffamento) sembrano essere più sviluppate. È più frequente, quindi, specialmente nei casi di grado lieve, che il disturbo passi inosservato. Questo non significa che sia meno percepito dalle pazienti, che frequentemente riferiscono, durante la visita, di aver iniziato sin dalla giovane età, ad esempio, a imitare le compagne di classe più abili a interagire per riuscire a orientarsi delle situazioni sociali. Potranno quindi comparire atteggiamenti sia di ritiro sociale che di estroversione ipercompensatoria, talora seduttività incongrua, sino a comportamenti sessuali promiscui, adottati per cercare di compensare sul piano fisico il deficit di reciprocità socio-emotiva, con un conseguente inanellarsi di relazioni instabili e intense".
Una storia di eventi traumatici potrà far complicare il quadro con una più grave disregolazione emotiva, sentimenti di rabbia e vuoto, con una visione di sé negativa, agiti impulsivi e autolesivi, che andranno a creare la costellazione sintomatologica tipica del disturbo borderline di personalità, una diagnosi, non a caso, a grande prevalenza femminile. Un altro aspetto chiave per individuare tratti autistici nelle donne riguarda la natura degli interessi ristretti e le rigidità comportamentali. Queste non si concentrano sui nuclei tipici dell’autismo maschile, ma su temi d’altro tipo e, in parte, più socialmente accettati, quali ad esempio visione di fiction, polarizzazione su un personaggio famoso (che può divenire il centro di tutti i pensieri e di tutte le energie), passare tempo con gli animali e, non ultime, condotte alimentari stereotipate.“Quest’ultimo aspetto – aggiunge Dell’Osso – risulta particolarmente evidente tanto che è stata avanzata l’ipotesi che l’anoressia nervosa, disturbo, al contrario dell’autismo, diagnosticato quasi esclusivamente nelle donne, possa essere considerato a tutti gli effetti una manifestazione femminile, un ‘fenotipo’ di spettro autistico. A conferma di ciò, le parenti femmine di persone con diagnosi di autismo presentano sovente anoressia nervosa. L’autismo, come sappiamo, è un disturbo con una origine genetica e soggetto quindi ad aggregazione familiare”.
Nonostante negli ultimi anni sia stata dedicata una maggior attenzione a questi temi e dunque sia incrementato il numero di studi incentrati sulla ricerca delle presentazioni femminili dei disturbi mentali serve ancora molto lavoro. “Questo è un campo che deve essere chiarito e che, oltre alle implicazioni di carattere clinico, potrebbe consentire, grazie all’indagine di uno stesso fenomeno da una prospettiva diversa, una maggior comprensione dei fattori neurobiologici alla base del funzionamento normale e patologico del cervello in entrambi i sessi", conclude la presidente Dell’Osso.
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