20 Maggio 2025

Celiachia, casi in aumento ma tanti sfuggono alla diagnosi

Ne soffrono 265mila italiani, ma oltre il doppio di loro non sa di esserne affetto. C'è attesa per la piena applicazione della legge approvata nel 2023: gli esperti confidano nell'estensione degli screening "che consentirà un'identificazione precoce della patologia". Intanto, la ricerca va avanti su trattamenti e cause della malattia

Di Maria Marchi
Foto di tolyaasch
Foto di tolyaasch

Riconoscere e diagnosticare tempestivamente la celiachia è fondamentale, non solo per gestire i sintomi, ma anche per prevenire problemi di salute più gravi a lungo termine. A pochi giorni dal termine della Settimana nazionale (10-18 maggio), promossa dall'Associazione italiana celiachia (Aic), si tirano le somme su trattamenti e sensibilizzazione dei pazienti. Fra le iniziative organizzate, c’è stato spazio anche per Celiakè?!, il primo festival itinerante dedicato al mondo senza glutine, che ha avuto l’obiettivo di informare sulla dieta rigorosa priva di glutine e la gestione quotidiana. A detta degli esperti, infatti, l’alimentazione attenta è l’unica via per curare ad oggi la celiachia che deve essere diagnosticata in maniera precoce. L’Italia vanta il primato di una legge, varata nel 2023, che introduce lo screening su base volontaria della malattia insieme al diabete di tipo 1 in età pediatrica.

PATOLOGIA IN CRESCITA
Solo in Italia, secondo l’ultima Relazione annuale al Parlamento sulla celiachia, pubblicata dal ministero della Salute, sono oltre 265mila le persone diagnosticate. Più del doppio, però, sono gli italiani che non sanno di essere celiaci (circa l'1% della popolazione). "La celiachia nel nostro Paese è una patologia estremamente frequente e in aumento", spiega Carlo Catassi, professore ordinario di Pediatria presso l’Università Politecnica delle Marche di Ancona e consulente scientifico dell’Istituto superiore di sanità per il progetto di screening della celiachia del diabete.

CASI CHE SFUGGONO
"Per motivazioni ancora sconosciute – commenta il professore –, abbiamo potuto verificare come sia aumentata la frequenza, nel corso degli ultimi decenni, anche se molti dei casi sfuggono ancora alla diagnosi perché presentano pochi sintomi oppure vengono definiti silenti, in assenza di manifestazioni cliniche". Più precisamente, "ad oggi sappiamo che almeno due terzi dei casi in Italia, se non ricercati attivamente con uno screening, sfuggono alla diagnosi". Tuttavia, "la patologia è presente e, se non riconosciuta tempestivamente, può portare a conseguenze anche importanti col passare degli anni", quali, "un'atrofia della mucosa intestinale" e "causare danni irreversibili a lungo termine, fra i quali, problemi di crescita, infiammazioni al fegato, anemia, osteoporosi fino anche ad alcune forme di tumore".

LA LEGGE ITALIANA 
In questo senso, l'Italia è il primo Paese al mondo ad avere una legge (la numero 130 del 2023) sullo screening pediatrico della celiachia e del diabete tipo 1. "La norma – osserva Catassi – ha previsto due fasi. La prima si è concentrata sull’avvio di un progetto pilota che si è svolto in quattro regioni d'Italia (Lombardia, Marche, Campania e Sardegna). Lo scopo di questo lavoro è stato quello di capire come organizzare i dettagli dello screening, per perfezionare i tanti aspetti. Lo studio tratto dal progetto servirà quindi a precisare come muoversi. La seconda fase riguarderà il progetto nazionale ovvero l’estensione dello screening a tutte le regioni d'Italia. Lo screening è su base volontaria perché viene proposto ai familiari del bambino durante i primi anni di vita".
Dallo screening, si aspettano benefici per i pazienti e le loro famiglie: "Attendiamo – spiega Catassi – un aumento nel numero di casi diagnosticati, ma soprattutto ci auguriamo un’identificazione precoce che possa avviare i pazienti al trattamento dietetico con la possibilità di prevenire lo sviluppo dei sintomi e delle complicanze a lungo termine di questa patologia. Questo è il senso dello screening: riconoscere tempestivamente la patologia per prevenire le complicanze. È un intervento che noi definiamo di prevenzione secondaria".

I NUOVI TRATTAMENTI ALLO STUDIO
Sulla malattia sono in corso numerosi studi in tutto il mondo che mirano a sviluppare terapie da affiancare alla dieta priva di glutine, in particolare per quei pazienti che non rispondono adeguatamente alla sola dieta. Attualmente, "la maggior parte di questi studi si trova nella fase II della sperimentazione clinica, ma in alcuni casi i risultati preliminari sono promettenti", spiega Fabiana Zingone, professore associato dell’Università di Padova, presso il Dipartimento di Scienze chirurgiche oncologiche e gastroenterologiche. Gli approcci terapeutici in studio sono diversi: alcune terapie mirano a bloccare le fasi dell’infiammazione causata dal glutine, altre puntano a indurre una forma di tolleranza immunologica. "Anche in Italia – afferma la professoressa –, sono attivi studi clinici in questo ambito. Sarà però necessario ancora del tempo prima che questi trattamenti possano essere effettivamente utilizzati nella pratica clinica. Indipendentemente da quale molecola si dimostrerà effettivamente utilizzabile nel prossimo futuro, l’interesse crescente verso la ricerca ha il merito di approfondire la conoscenza della celiachia da più punti di vista, con benefici indiretti per tutti i pazienti. È importante sottolineare però che al momento, non esistono terapie disponibili al di fuori della dieta: la dieta priva di glutine, da intraprendere solo dopo un accurato percorso diagnostico, resta ad oggi l’unica cura efficace".

LE CAUSE GENETICHE E NON SOLO
La malattia celiaca è una condizione multifattoriale, "il che significa – spiega ancora Zingone – che è determinata da una combinazione di fattori genetici e ambientali. Sappiamo che è necessaria una predisposizione genetica, senza la quale la malattia non si sviluppa. Tuttavia, la genetica da sola non basta, è fondamentale anche l’esposizione al glutine nella dieta. Oltre a questi due elementi, si stanno studiando altri fattori che potrebbero contribuire all’insorgenza della malattia. Tra questi, grande attenzione è oggi rivolta al microbiota intestinale dei pazienti celiaci e al possibile ruolo di infezioni contratte nell’infanzia o adolescenza". Altri fattori un tempo ritenuti rilevanti, come l’allattamento o il momento dell’introduzione del glutine, non sembrano influire sul rischio di malattia nei pazienti predisposti. "Nella malattia – conclude la professoressa–, come in tutto l’ambito delle malattie immunomediate, c’è ancora molto da scoprire, ma la ricerca sta facendo grandi passi avanti e questo ci permette di comprendere meglio e di offrire, in futuro, strumenti sempre più efficaci per affrontarla".

 

 

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